21 novembre 2008

Le cosche locali analizzate da un esperto

Da IlCrotonese del 21 novembre 2008

Professor Ciconte, quello tra mafia e politica è un rapporto che lei ritiene si possa scardinare attraverso un corretto esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini. Ma i crotonesi hanno delle alternative o i mafiosi possono nascondersi dietro volti solo apparentemente puliti e facilmente manipolabili?
“Il cittadino può sempre scegliere il meno mafioso. Bisogna distinguere tra collusi, persone ricattabili dalla mafia e i veri e propri mafiosi, cioè quelli che fanno parte delle organizzazioni mafiose. Queste cose, soprattutto in un piccolo centro come Crotone, la gente le sa distinguere e di conseguenza può scegliere. È un dovere anche rinnegare la propria appartenenza politica rispetto alla possibilità di favorire la ‘ndrangheta, questa è una lotta che non deve conoscere divisioni ideologiche perché interessa il bene di tutti!”.
In questo territorio le cosche sono infiltrate nelle istituzioni e nelle amministrazioni pubbliche? E quanto?
“Certo, nei Comuni sicuramente c’è infiltrazione mafiosa, non possiamo negarlo. Questo è stato confermato anche dallo scioglimento dei consigli comunali di Strongoli e Isola, per esempio. In questa realtà la mafia è molto infiltrata nelle sedi del potere ed è abbastanza evidnte”.
Come giudica il fatto che un ex procuratore della Repubblica sia entrato a far parte del trust di un imprenditore condannato?
“Un grosso errore, una cosa che non doveva assolutamente accadere! Tricoli ha sbagliato, ha fatto una scelta inopportuna che io non avrei mai fatto al suo posto. Certo che c’è la presunzione di innocenza, nessuno la nega, ma un uomo di legge sa bene che un fatto simile mette in discussione la credibilità della giustizia. Questa non è una cosa da poco, anzi per sconfiggere la mafia è indispensabile un clima di fiducia nei confronti delle istituzioni”.
Ci sono indagini che presuppongono un rapporto tra le cosche del crotonese e quella dei casalesi, secondo lei è possibile?
“Sicuramente sì, anche io sono tra quelli che credono in questo rapporto con i casalesi. Le mafie si reggono su rapporti di sinergia tra le diverse organizzazioni, che nascono tutte dallo stesso ceppo. Gli affari che amministrano sono tutti gli stessi e non è difficile immaginare gli interessi comuni di casalesi e crotonesi. Proprio per questo ritengo che le mafie vanno studiate come un fenomeno globale: al Nord come al Sud, sarebbe riduttivo guardare solo alla ‘ndrangheta di questa realtà come ad un fenomeno isolato dal resto del Paese”.
Come fa a sostenere che le cosche del crotonese siano legate anche alla strage di Duisburg e quali personaggi sarebbero coinvolti?
“A Duisburg sono legati i Farao e i Marincola di Cirò. Attraverso le intercettazioni si scoprì che un esponente della cosca addirittura finanziò la campagna elettorale di un candidato tedesco dell’Ucdu. Ne seguì uno scandalo politico quando si seppe. Questo fatto ha dimostrato quanto la ‘ndrina sia presente in Germania e nella vita politica di quella regione.
Quello che è successo a Duisburg, però, deve portare ad una riflessione ancora più generale, ovvero sulla necessità di trattare le mafie come un problema di portata globale e quindi sull’esigenza di munirsi di strumenti adeguati a livello legislativo per combatterla. Le forze dell’ordine tedesche, anche prima della strage, sapevano cosa accadeva in alcuni hotel, ristoranti e pizzerie, ma non sono intervenute in tempo perché manca una legislazione unitaria a livello europeo su come contrastare il fenomeno, che qui da noi è più conosciuto, ma lì ha trovato terreno fertile per approdare. Intanto il nostro Governo continua a non avere nella sua agenda politica la lotta alla mafia”.
La prima regola del codice mafioso stabilisce che non si può essere “infami”. A Crotone, invece, sembra che qualcosa sia cambiato: tanti collaboratori di giustizia ultimamente; ma non solo, si spara sulle donne e sui bambini. Perché? Sono saltate le regole?
“A Crotone ci sono più pentiti perché le cosche, rispetto a quelle del reggino o di Nicastro, per esempio, sono più giovani, quindi più deboli economicamente. Quelli che diventano collaboratori di giustizia a volte fanno prima i calcoli e si rendono conto che l’organizzazione non può soddisfare le loro esigenze economiche. Il gioco non vale la candela, insomma. Hanno paura di essere presi, non sempre hanno le spalle coperte e allora conviene collaborare invece di scontare il 41 bis.
In ogni caso, in Calabria i collaboratori di giustizia sono ancora troppo pochi e questo si spiega con la presenza di cosche familiari. Pentirsi a volte vuol dire tradire il padre o i fratelli, come ha fatto Luigi Bonaventura a Crotone, e di conseguenza è molto più difficile. Questo spiega anche perché a collaborare è più spesso la bassa manovalanza e non i grandi capi.
Per quanto riguarda il codice d’onore, anche a Crotone non è saltato perché non è mai esistito, o meglio è un’invenzione dei vertici mafiosi che vale solo per gli affiliati ma non per i capi. Sono regole che garantiscono l’ordine nell’organizzazione, per tenere a bada i ‘piccoli’. Ho fatto delle ricerche e già dall’800 è emerso che i mafiosi uccidevano e stupravano donne e bambini, il fatto è che non se n’è mai parlato. Ma quale onore? Un mafioso non può avere onore! È tutta una costruzione, i mafiosi contrabbandano un onore che non hanno mai avuto.
Non immaginate quante volte i capi sono stati ‘confidenti’ delle forze dell’ordine solo per liberarsi di qualcuno scomodo o per vendicarsi di un nemico. Fornivano le prove e rimanevano intoccabili. C’è onore in questo?”.
Come viene gestita la lotta alla mafia nella nostra realtà?
“A volte credo che il fenomeno si contrasti con debolezza, lo ha confermato la fuga di Farao nei giorni scorsi dopo essere stato appena trovato mentre era latitante. Però non si può negare che siano stati fatti grossi passi in avanti: quando io ero ragazzo i boss stavano fuori, seduti tranquillamente nei bar. Non si arrestavano per insufficienza di prove. Oggi è un’altra cosa, è vero Farao è scappato, ma almeno non può vivere serenamente libero. In realtà la sua è già una vita da quasi carcerato.
Si sta sgretolando, pian piano, il mito della mafia come entità invincibile e questo è veramente importante, perché i mafiosi, il rispetto e la paura che la gente nutre nei loro confronti vivono proprio su questo pregiudizio dell’invincibilità, che non è assolutamente vera, la mafia si può sconfiggere! Proprio per questo, infatti, credo che la lotta alla ‘ndrangheta vada sostenuta sul piano culturale. Quando si diventa mafiosi lo si fa per l’ambizione di arricchirsi, ma se si confiscano i loro beni si toglie ogni speranza di sopravvivenza all’organizzazione e si dimostra che non conviene prendere quella strada. Le ricchezze confiscate si diano ai giovani come strumento per creare qualcosa di buono nella loro terra, loro devono essere i primi destinatari di un messaggio culturale nuovo. Diversamente da quanto si dice oggi dei ragazzi, io credo molto in loro. Non è vero che abbiano perso la speranza, quando vogliono si mobilitano e lo sanno fare anche bene. Sono i grandi che non hanno fiducia e che vogliono convincerli che non valgono niente per continuare a comandare senza fastidi. Qui in Calabria tanti giovani lavorano sui beni confiscati e ci stanno riuscendo bene”.
Concretamente però della mafia si ha paura, cosa devono fare allora i nostri giovani?
“Non devono rimanere da soli. La paura è normale, però si può gestire. I giovani devono stare insieme, devono combattere in gruppo, allora si sentiranno più forti e saranno loro a fare paura. Se è uno che dichiara guerra alla mafia verrà ucciso quasi sicuramente, ma se sono in tanti, in tantissimi, la mafia non li può mica uccidere tutti!”.
Angela De Lorenzo

04 novembre 2008

... a te piace Cirò Marina?

di Giuseppe Ferraro

L'intervento di un anonimo sul post/video di Marco Parrilla mi ha fatto venire in mente una domanda che vorrei rivolgere a tutti voi:

A te piace Cirò Marina?

Vi pregherei di iniziare i vostri commenti con un SI o con un NO (a me non piacciono le posizioni "democristiane") e poi argomentare del perchè, se lo ritenete opportuno.

03 novembre 2008